Un attacco strumentale, che va ben oltre il libero diritto di critica di uno qualunque dei telespettatori paganti di una produzione televisiva del servizio pubblico garantito dalla Rai. Mi riferisco, come ovvio, a quanto l’Unci Calabria, vale a dire l’articolazione territoriale delle Camere Penali, ha sostenuto attraverso un comunicato ufficiale diramato a tutti gli organi di stampa, tuonando contro l’approfondimento giornalistico sullo storico primo maxi-processo alla ‘ndrangheta denominato Rinascita-Scott, proposto da Riccardo Iacona nell’ormai notissima Presadiretta lunedì scorso secondo la stessa Unci lesivo del diritto alla difesa degli imputati. Una posizione, quella assunta dalle Camere Penali calabresi, che francamente non sta in piedi, considerato come per un procedimento di tali dimensioni e così sfaccettato, con centinaia di presunti colpevoli alla sbarra, diventa impossibile creare una qualche forma di condizionamento di natura mediatica della Corte giudicante. E a riguardo mi permetto di ricordare, pur non essendo un tecnico della materia, che qui non si sta ad esempio parlando dei delitti di Erba, Cogne o Avetrana, con uno o al massimo due imputati e un numero imprecisato di talk-show interamente dedicati al tema con tanto di plastici illustrativi ed esperti consulenti nei vari studi televisivi intenti a spaccare il capello in quattro e ad analizzare apparenti prove e indizi come fossero sì, davvero, dei periti in un’aula di Giustizia. Nell’occasione di Presadiretta si discute infatti di ben altro, ossia di uno squarcio coraggiosamente aperto su un mondo blindato, impenetrabile, protetto a ogni livello ovvero quello della più potente consorteria criminale del mondo. Fatto che va molto oltre al medesimo processo Rinascita-Scott, assumendo peraltro una valenza altissima secondo il principio sancito dall’art. 21 della Costituzione mediante cui i nostri Padri Costituenti hanno tutelato la libertà di espressione e informazione. Iacona ha dunque scoperchiato il Vaso di Pandora, illuminando il tenebroso sottobosco in cui si saldano gli interessi perversi di vecchi boss ancora degni del Padrino, e simbolicamente legati a coppola e lupara, quasi fossero ‘chiddi cu i peri incritati’ tipo Riina e Provenzano; nuovi famelici capibastone più affaristici e intraprendenti; insospettabili colletti bianchi al completo servizio in cambio di fiumi di denaro da parte dei vertici delle varie ‘ndrine; appartenenti alle forze dell’ordine corrotti e alcuni di quei ‘bravi cittadini’ a disposizione del Sistema in cerca di utilità di qualsivoglia genere. Una Malapianta che cresce infestando una foresta sana e drogando l’economia e la società di una regione altrimenti fra le più belle d’Italia e non solo. Ma quello che mi fa più male, addirittura sconvolgendomi, non è tanto l’affondo dell’Unci regionale a salvaguardia dei suoi interessi fra avvocati secondo l’accusa asseriti burattinai di certi giochi di potere e soldi, tantissimi soldi, imputati eccellenti e capimafia ottimi clienti, bensì l’assordante silenzio della politica. Un’Istituzione che avrebbe dovuto urlare tutto lo sdegno e la rabbia per quanto mostrato da Rai3 in diretta nazionale e viceversa chiusa a riccio, per i troppi inconfessabili strusci con quel mondo di mezzo, in attesa di veder passare la tempesta. Una vergogna senza fine. Una pagina nera, da voltare al più presto. Perché unicamente con una classe dirigente, intesa nel suo complesso, non impermeabile rispetto a certe lusinghe si è potuti arrivare a questo punto. Quasi di non ritorno. Alla politica di tutte le ‘colorazioni’ hanno insomma fatto gola voti e formidabili appoggi economici per le campagne elettorali, motivi alla base di un patto con il Diavolo che hanno pagato, e stanno pagando a caro prezzo, tantissime generazioni di calabresi onesti. Ecco perché è arrivato il momento di dire basta, ma serve una rivoluzione dal basso .Ogni persona perbene, per quel che può, inizi dunque a rendersi promotrice e artefice del cambiamento.