Oggi è un anniversario triste. Un anno fa dieci persone hanno perso la vita a causa di un innalzamento repentino del fiume Raganello nei pressi di Civita, uno dei borghi più belli e attrattivi della nostra terra.
Questa tragedia ribadisce l’importanza di una corretta politica della sicurezza del territorio.
La natura, in Calabria, oscilla tra due estremi: può essere una mamma incantevole e in pochi secondi può trasformarsi in una matrigna perfida. Tutto dipende dalla bravura dei suoi figli, nel prevenirne l’ira e assecondarne l’affetto.
In questo caso, gioca un ruolo importante la Protezione Civile, di cui fino a pochi anni fa i calabresi ignoravano quasi l’esistenza.
Mi pregio di aver diretto per tre anni questa importante istituzione, che all’epoca era il fanalino di coda nel panorama nazionale. In breve, grazie a all’impegno diuturno, condotto con passione, sono riuscito a migliorare le cose, coinvolgendo e motivando il personale tecnico, i volontari le amministrazioni locali e lo Stato. Da ultima della classe, la Calabria è diventata, per molti aspetti, una delle regioni di riferimento, proponendo procedure, metodologie, livelli organizzativi che sono stati apprezzati dalla Protezione Civile nazionale e offerti come modello da seguire alle altre regioni più indietro nella costruzione di un efficace sistema di tutela del territorio e dei suoi abitanti.
I calabresi, a partire dallo scorso anno, hanno iniziato a familiarizzare con i colori che designano i livelli di pericolo, che ho adottato – al pari di poche regioni virtuose – e divulgato ai sindaci calabresi durante un incontro di febbraio 2018.
I numeri parlano chiaro: n Calabria i Comuni dotati di piani di protezione civile sono passati dal 54% al 93%. E a tutto questo si aggiunge anche l’informatizzazione non solo di questi piani, ma anche dei servizi e delle comunicazioni in tempo reale e il coinvolgimento dei primi cittadini.
Un record necessario, perché la nostra terra presenta criticità estreme, che si traducono in emergenze sismiche, idrogeologiche e dovute agli incendi.
Siamo diventati tra i primi in Italia, ma non basta perché c’è ancora molto lavoro da fare, soprattutto sotto il profilo culturale nella diffusione della cultura della prevenzione e della legalità in materia di abusi edilizi e ambientali.
Confido che con l’aiuto dei calabresi riusciremo a fare altri passi decisivi. Lo dobbiamo anche ai morti di Civita.